mercoledì 5 dicembre 2012

UNA PERFETTA USCITA


“E questi chi sono?” Mi sono chiesta piuttosto incuriosita.
Il gruppo era piuttosto eterogeneo, dall’atteggiamento incerto. Scomposto nei suoi componenti e … scollato. Si capiva benissimo che erano estranei al luogo. Carla, la nostra guida, ci aveva annunciato che aveva organizzato un “meeting” fra il nostro gruppo e i ragazzi della comunità.
Li ho incrociati nel vano della scale della scuola. Ma dovevano essere molti di meno! Penso. Quattro o cinque! Questi sono almeno una decina.
Mi affretto su per le scale lasciandomi alle spalle il gruppo “incerto”. Carla si era raccomandata “puntuali, mi raccomando” ed io sono (al solito) leggermente in ritardo.
Raggiungo l’aula di musica dove ogni lunedì ci troviamo per le prove. Già, perché noi siamo un gruppo di teatro dal nome “Hildegard Von Bingen”. Per via della famosa badessa, donna colta e prestigiosa (che in questi ultimi tempi il papa ha voluto onorare beatificandola).
Entro sparata nell’aula ed eccoli lì, i ragazzi di cui ci aveva parlato Carla. Adesso ricordo tutto. I ragazzi sono qui per fare una rappresentazione. E’ il loro debutto.
 
 Carla, ha fatto teatro per oltre dieci anni poi è entrata nella scuola in qualità di maestra, ma il teatro continua a far parte della sua vita ed è entrato a pieno titolo nella sua didattica.  Oltre a questo ora è anche danza terapeuta ed è con questa qualifica che è entrata in questa comunità dove segue questi ragazzi.

Mi cambio velocemente. Le altre sono quasi tutte sistemate. Qualcuna manca e qualcun’altra arriva come me alla spicciolata. Nel frattempo arriva il gruppo incerto. Baci, abbracci, esclamazioni di sorpresa. Perché in realtà la loro presenza non era prevista. C’è tutta la comunità, educatori compresi. Attori e pubblico a seguito.

E’ ora. Si incomincia. Formiamo il cerchio. Qualcuno degli incerti si ritrae ma poi si convince e iniziamo tutti insieme il riscaldamento. Solo un ragazzo rimane fuori ma nessuno più pensa a lui. L’operazione sperimentale è iniziata e la musica ci accompagna.

Frullare, piegare, allungare. Avanti, indietro, alto, basso. Destra, sinistra e l’energia gira, gira, gira. Il corpo si rilassa, la mente si distende e tutti siamo dentro lo spazio, nel nostro spazio, dentro quel luogo, nel nostro luogo mentale, spirituale, creativo….. di improvvisazione. Il corpo, la mente, la musica, lo spazio, poi più niente ….

Il gioco finisce. Il gioco si fa serio. E’ l’ora dello spettacolo. L’emozione è forte. Noi del pubblico ci sediamo intorno alla stanza.
Ecco che gli attori entrano indossando i costumi di scena. C’è la principessa azzurra e la principessa della montagna chiusa nel suo silenzio. C’è l’immancabile Zorro con tanto di maschera e spadino. Non poteva mancare lo sceriffo che corre spavaldo sul suo cavallo. La strega cattiva e malvagia con aiutante e le farfalline con le ali tutte d’oro. Ognuno interpreta sé stesso.    
La storia è molto poetica. Costruita nel nostro immancabile stile. Nel nostro modo di fare teatro.
Tutto nasce dalle improvvisazioni. L’attore diviene autore ed il regista coglie il meglio da ciascuno degli attori. Mette insieme le  fila  e costruisce un canovaccio seguendo un invisibile filo conduttore che si spana e si dipana da sé. (Non so se è proprio così …. Ma è così che mi viene da pensare in quest’ora tarda di notte … è l’una passata).
La voce narrante, Carla, è un giocoliere, un clown, un delfino che controlla la rotta della nave e guida tutto l’equipaggio. E’ luminosa Carla, si lascia andare a ruota libera, senza complessi.
Riprendo l’immagine del delfino che spazia, gioca e crea nell’acqua, libero, senza confini.


La principessa azzurra si nasconde dietro una risatina inconsulta, la principessa della montagna ha lo sguardo cupo e torvo, la strega si trova a proprio agio: sembra abbastanza disinvolta. Di sicuro è la più disinvolta. A vederla così dal di fuori sembra una ragazza normale mentre, la principessa azzurra (Mimma) si distingue proprio per il suo modo di ridere e di atteggiare la bocca. Zorro ha uno strano modo di parlare, sembra una mitraglietta. E’ simpatico e ….. molto improbabile …. come  tutti gli altri, del resto.

Carla è tanta e c’è tutta nel narrare la storia. Adesso la principessa azzurra dorme abbandonata sulla sedia. Vittima della polverina che ha seminato la strega è caduta in un sonno profondo insieme alla principessa solitaria nel castello mentre le due farfalline, anche loro colpite dalla streganza sono diventate farfalline cattive. La strega canta accompagnata dalla chitarra del suo aiutante (che è un educatore). Zorro e lo sceriffo sono ambedue in casa. il resto della storia si è perduto nei meandri più oscuri della mia memoria. Infine tutto si dissolve e tutti tornano felici (si fa per dire). Le due farfalline (Fede, che è una ragazza down e l’altra la sua educatrice dalla quale Fede non si stacca mai), sono ritornate a svolazzare leggiadre e leggere; le due principesse risvegliate dal lungo sonno si uniscono al resto della compagnia in un bel cerchio e tutti insieme cantiamo una allegra canzoncina testata sulle note della “Gatta” scritta da Gino Paoli quando era ancora agli albori della sua carriera. Quindi nel secolo scorso!!!!!! (Tanto per dire).

Lo spettacolo è finito. Applausi e congratulazioni. Lo sforzo è stato grande per questi ragazzi che abbandonati a sé stessi vivono dentro al loro disagio e fuori dalla società. In ogni caso quel nodo che li tiene stretti, chiusi nel loro cerchio con la musicoterapia guidata da Carla un poco si è allentato.

La festa riesce bene. Si balla. Mimma, Zorro, lo sceriffo, noi del nostro gruppo, naturalmente, mentre facciamo onore all’improvvisato “Catering”. Con il mio tamburello in mano mi guardo intorno: non sono né di qua né di là. Avverto una separazione. Mi sento in parte “di loro”. Ma sono anche da questa parte.
La principessa della montagna (non ricordo il suo nome) si aggira sempre con lo sguardo torvo, gli occhi rivolti in basso guardano a terra ma di tanto in tanto si alzano obliquamente ora su questo ora su quello. Dice di avere mal di denti. Non si sa se crederle o no. Magari vuole attirare l’attenzione. E’ una povera bambina.

Mi viene da pensare a G. Una bambina nata in anticipo con una grave sofferenza da parto. Lei non cammina, me la ricordo distesa sul letto mentre la sua mamma le cambiava il pannolino e l’impressione che ho avuto vedendo quelle gambine inerti, molli, senza vita.
G. è una bambina straordinaria. Sa catturare la simpatia di tutti con la sua dolcezza e vivacità. E’ intelligentissima. Una bambolina nonostante abbia pure uno strabismo molto accentuato. La sua mamma si dedica a lei il duecento per cento e forse anche di più. E a volte non ce la fa proprio più.

Guardo questi ragazzi e penso ai genitori che li hanno abbandonati. Non voglio giudicare. Certamente avranno dei problemi anche loro.
Un giorno ho incontrato per strada tre esseri infelici. Un uomo e una donna giovani. La donna spingeva una carrozzella con un bambino (presumo loro figlio) anche lui gravemente handicappato. Ma quello che più mi ha colpito è stato il loro modo di essere. Si leggeva in loro tutto il peso di quella catastrofe che era piombata loro addosso e tutta l’incapacità di gestirla e di accettarla. Una situazione devastante per ciascuno dei due genitori, per il loro rapporto di coppia.
Uno zoccolo duro per tutti e tre. Anche per il bambino.

La festa è finita. Ci cambiamo e mettiamo a posto le cose. Il gruppo “incerto” se ne va compatto. Fede è la più esuberante. Diciamo che sta facendo un po’ di “caciara”. Si è divertita, pare. Come lei credo anche gli altri ragazzi. Fede mi saluta varie volte: “ciao Silvana”, non so cosa sia scattato in lei. Infine si decide. Lei e la sua educatrice escono dall’aula musica non senza avermi salutata ancora una volta. Passano alcuni secondi e con un tempo assolutamente  perfetto rieccola affacciarsi nuovamente alla porta “ciao Silvana” e sparisce. Questa volta per davvero.
Una perfetta uscita teatrale. Da grande attore.