UNA PERFETTA USCITA
“E questi chi sono?” Mi
sono chiesta piuttosto incuriosita.
Il gruppo era piuttosto
eterogeneo, dall’atteggiamento incerto. Scomposto nei suoi componenti e …
scollato. Si capiva benissimo che erano estranei al luogo. Carla, la nostra guida,
ci aveva annunciato che aveva organizzato un “meeting” fra il nostro gruppo e i
ragazzi della comunità.
Li ho incrociati nel vano
della scale della scuola. Ma dovevano essere molti di meno! Penso. Quattro o
cinque! Questi sono almeno una decina.
Mi affretto su per le scale
lasciandomi alle spalle il gruppo “incerto”. Carla si era raccomandata
“puntuali, mi raccomando” ed io sono (al solito) leggermente in ritardo.
Raggiungo l’aula di musica
dove ogni lunedì ci troviamo per le prove. Già, perché noi siamo un gruppo di
teatro dal nome “Hildegard Von Bingen”. Per via della famosa badessa, donna
colta e prestigiosa (che in questi ultimi tempi il papa ha voluto onorare
beatificandola).
Entro sparata nell’aula ed
eccoli lì, i ragazzi di cui ci aveva parlato Carla. Adesso ricordo tutto. I
ragazzi sono qui per fare una rappresentazione. E’ il loro debutto.
Carla, ha fatto teatro per oltre dieci anni
poi è entrata nella scuola in qualità di maestra, ma il teatro continua a far
parte della sua vita ed è entrato a pieno titolo nella sua didattica. Oltre a questo ora è anche danza terapeuta ed
è con questa qualifica che è entrata in questa comunità dove segue questi
ragazzi.
Mi cambio velocemente. Le
altre sono quasi tutte sistemate. Qualcuna manca e qualcun’altra arriva come me
alla spicciolata. Nel frattempo arriva il gruppo incerto. Baci, abbracci,
esclamazioni di sorpresa. Perché in realtà la loro presenza non era prevista.
C’è tutta la comunità, educatori compresi. Attori e pubblico a seguito.
E’ ora. Si incomincia.
Formiamo il cerchio. Qualcuno degli incerti si ritrae ma poi si convince e
iniziamo tutti insieme il riscaldamento. Solo un ragazzo rimane fuori ma
nessuno più pensa a lui. L’operazione sperimentale è iniziata e la musica ci
accompagna.
Frullare, piegare,
allungare. Avanti, indietro, alto, basso. Destra, sinistra e l’energia gira,
gira, gira. Il corpo si rilassa, la mente si distende e tutti siamo dentro lo
spazio, nel nostro spazio, dentro quel luogo, nel nostro luogo mentale,
spirituale, creativo….. di improvvisazione. Il corpo, la mente, la musica, lo
spazio, poi più niente ….
Il gioco finisce. Il gioco
si fa serio. E’ l’ora dello spettacolo. L’emozione è forte. Noi del pubblico ci
sediamo intorno alla stanza.
Ecco che gli attori entrano
indossando i costumi di scena. C’è la principessa azzurra e la principessa
della montagna chiusa nel suo silenzio. C’è l’immancabile Zorro con tanto di
maschera e spadino. Non poteva mancare lo sceriffo che corre spavaldo sul suo
cavallo. La strega cattiva e malvagia con aiutante e le farfalline con le ali
tutte d’oro. Ognuno interpreta sé stesso.
La storia è molto poetica.
Costruita nel nostro immancabile stile. Nel nostro modo di fare teatro.
Tutto nasce dalle
improvvisazioni. L’attore diviene autore ed il regista coglie il meglio da
ciascuno degli attori. Mette insieme le fila e
costruisce un canovaccio seguendo un invisibile filo conduttore che si spana e
si dipana da sé. (Non so se è proprio così …. Ma è così che mi viene da pensare
in quest’ora tarda di notte … è l’una passata).
La voce narrante, Carla, è
un giocoliere, un clown, un delfino che controlla la rotta della nave e guida
tutto l’equipaggio. E’ luminosa Carla, si lascia andare a ruota libera, senza
complessi.
Riprendo l’immagine del
delfino che spazia, gioca e crea nell’acqua, libero, senza confini.
La principessa azzurra si
nasconde dietro una risatina inconsulta, la principessa della montagna ha lo
sguardo cupo e torvo, la strega si trova a proprio agio: sembra abbastanza
disinvolta. Di sicuro è la più disinvolta. A vederla così dal di fuori sembra
una ragazza normale mentre, la principessa azzurra (Mimma) si distingue proprio
per il suo modo di ridere e di atteggiare la bocca. Zorro ha uno strano modo di
parlare, sembra una mitraglietta. E’ simpatico e ….. molto improbabile …. come tutti gli altri, del resto.
Carla è tanta e c’è tutta
nel narrare la storia. Adesso la principessa azzurra dorme abbandonata sulla
sedia. Vittima della polverina che ha seminato la strega è caduta in un sonno
profondo insieme alla principessa solitaria nel castello mentre le due
farfalline, anche loro colpite dalla streganza sono diventate farfalline
cattive. La strega canta accompagnata dalla chitarra del suo aiutante (che è un
educatore). Zorro e lo sceriffo sono ambedue in casa. il resto della storia si
è perduto nei meandri più oscuri della mia memoria. Infine tutto si dissolve e
tutti tornano felici (si fa per dire). Le due farfalline (Fede, che è una
ragazza down e l’altra la sua educatrice dalla quale Fede non si stacca mai),
sono ritornate a svolazzare leggiadre e leggere; le due principesse risvegliate
dal lungo sonno si uniscono al resto della compagnia in un bel cerchio e tutti
insieme cantiamo una allegra canzoncina testata sulle note della “Gatta”
scritta da Gino Paoli quando era ancora agli albori della sua carriera. Quindi nel
secolo scorso!!!!!! (Tanto per dire).
Lo spettacolo è finito. Applausi
e congratulazioni. Lo sforzo è stato grande per questi ragazzi che abbandonati
a sé stessi vivono dentro al loro disagio e fuori dalla società. In ogni caso
quel nodo che li tiene stretti, chiusi nel loro cerchio con la musicoterapia
guidata da Carla un poco si è allentato.
La festa riesce bene. Si balla.
Mimma, Zorro, lo sceriffo, noi del nostro gruppo, naturalmente, mentre facciamo
onore all’improvvisato “Catering”. Con il mio tamburello in mano mi guardo
intorno: non sono né di qua né di là. Avverto una separazione. Mi sento in parte
“di loro”. Ma sono anche da questa parte.
La principessa della
montagna (non ricordo il suo nome) si aggira sempre con lo sguardo torvo, gli
occhi rivolti in basso guardano a terra ma di tanto in tanto si alzano
obliquamente ora su questo ora su quello. Dice di avere mal di denti. Non si sa
se crederle o no. Magari vuole attirare l’attenzione. E’ una povera bambina.
Mi viene da pensare a G. Una
bambina nata in anticipo con una grave sofferenza da parto. Lei non cammina, me
la ricordo distesa sul letto mentre la sua mamma le cambiava il pannolino e l’impressione
che ho avuto vedendo quelle gambine inerti, molli, senza vita.
G. è una bambina
straordinaria. Sa catturare la simpatia di tutti con la sua dolcezza e
vivacità. E’ intelligentissima. Una bambolina nonostante abbia pure uno
strabismo molto accentuato. La sua mamma si dedica a lei il duecento per cento
e forse anche di più. E a volte non ce la fa proprio più.
Guardo questi ragazzi e
penso ai genitori che li hanno abbandonati. Non voglio giudicare. Certamente avranno
dei problemi anche loro.
Un giorno ho incontrato per
strada tre esseri infelici. Un uomo e una donna giovani. La donna spingeva una
carrozzella con un bambino (presumo loro figlio) anche lui gravemente
handicappato. Ma quello che più mi ha colpito è stato il loro modo di essere. Si
leggeva in loro tutto il peso di quella catastrofe che era piombata loro
addosso e tutta l’incapacità di gestirla e di accettarla. Una situazione
devastante per ciascuno dei due genitori, per il loro rapporto di coppia.
Uno zoccolo duro per tutti
e tre. Anche per il bambino.
La festa è finita. Ci cambiamo
e mettiamo a posto le cose. Il gruppo “incerto” se ne va compatto. Fede è la più
esuberante. Diciamo che sta facendo un po’ di “caciara”. Si è divertita, pare. Come
lei credo anche gli altri ragazzi. Fede mi saluta varie volte: “ciao Silvana”,
non so cosa sia scattato in lei. Infine si decide. Lei e la sua educatrice escono
dall’aula musica non senza avermi salutata ancora una volta. Passano alcuni
secondi e con un tempo assolutamente perfetto
rieccola affacciarsi nuovamente alla porta “ciao Silvana” e sparisce. Questa volta
per davvero.
Una perfetta uscita
teatrale. Da grande attore.