martedì 25 maggio 2010

MA ....a Pietra il mare ....

MA ....a Pietra il mare ....



“Tu sei un tipo da Finale” Ma com’è un tipo da Finale?! Pensava.
Non che la cosa le dispiacesse, il tizio che glielo aveva detto non era neanche male … ma così su due piedi …. non sapeva.
Un giorno aveva visto una tipa pazzesca …. davvero ….. si provava un vestito, bianco, biondi i capelli, lisci e lunghi. Stava scalza, i piedi poggiati per terra come chi è avvezzo stare in barca. Ma non una da poco. Una barca di quelle, con cabinato e tutto. Tutti i confort. “Ecco”, aveva pensato: “quella è un tipo da Finale.”
A Finale ci andava per lo struscio, per i negozi le vetrine, ma a Pietra. E beh! A Pietra il mare è .....
Più selvaggio.
Così lei lo viveva. Sdraiata sull’ultimo masso del frangionde che fungeva da scoglio. L’ultimo e poi, il mare. Solo pochi metri dalla spiaggia e il mondo era già diverso, il mare era già diverso. più ....
Era una bellezza stare lì sdraiati su quella pietra piatta e liscia, quasi a pelo d’acqua, tanto che, se un’onda si faceva più alta, la spruzzava tutta quanta, poi il sole che le bruciava la pelle e il mormorio dell’acqua che batteva e gorgogliava nel gorgo sotto lo scoglio. E quel venticello che profumava di umido di mare, di pesci, di granchi. E le bavose? Povere! Le prede predilette di quegli amorucci di bambini che con tanto di secchiello andavano a caccia, hm! a pesca di quelle poverette annidate tra un masso e l’altro e tanto rimpiangevano la tranquillità dell’inverno, mentre d’estate …
Sembrava di essere in alto mare lì sullo scoglio a prendere il sole.
La spiaggia lontana.
Un miraggio dietro le spalle.
Da quel frangionde a Pietra, il mare.... è più .... più mare. Anche dalla passeggiata.
Da quando è stata rifatta e rialzata, sembra di essere sulla tolda di una nave.
Ma non tutta è stata rifatta. Solo una parte. Si vede che al Comune mancavano i soldi. Prima non si vedeva il mare. Che era coperto dalle cabine. Come a Finale. Che la passeggiata è più ampia, più larga. Ci sono gli alberi, i dehort, i giochi per i bambini. Un giardino, ma non si vede il mare. Mentre a Pietra, arrivi dal piazzale sul Maremola e ti si aprono gli occhi, il cuore, il plesso solare. E ti senti una meraviglia.
E pensi che a Pietra, il mare “è più mare”.

“Vieni con me nell’acqua azzurra a raccogliere conchiglie?”
La bambina andò nell’acqua azzurra a raccogliere conchiglie. Erano tante, lucenti, dalle forme più strane, ricercate, perfette. Iridescenti come arcobaleni.
La bambina seduta in fondo al mare raccolse conchiglie, costruì castelli. castelli di conchiglie.
Castelli piccoli, poi più grandi sempre più grandi, tanto grandi da arrivare con la punta più alta a toccare il cielo fino alla luna, oltre la luna, e da lassù la bambina guardò giù dal torrione più alto e vide la terra piccola, sempre più piccola. Con un lungo cannocchiale scrutò giù, cercò la sua casa, i suoi amici e le venne una grande nostalgia.
Lassù era molto bello, ma così tutta sola le veniva una malinconia grande grande. Grande così. Allora la bambina che curiosava dal torrione più alto del grande castello di conchiglie che dal fondo del mare saliva fino al cielo, oltre la luna, presa dalla malinconia e da un grande sonno si addormentò e sognò paesaggi fantastici, alberi di zucchero filato, fiori di panna, montagne di cioccolata, grattaceli di glassa, fiumi e laghi di fresca aranciata. Coriandoli volavano in cielo e stelle filanti segnavano le strade.
La bambina allora gettò una scala di seta e tornò sulla terra. Con tutti i suoi amici e tutti quanti i bambini fece un bel giro, un girotondo tutto intorno al mondo fatto di zucchero filato, cioccolata, aranciata …….


Pietra è più paese. Finale più ricercata, elegante, più estesa. Non per niente la tipa pazzesca. Che poi è troppo anche per Finale. La tipa pazzesca non è un tipo da Finale: è un tipo strauniversale.

A Pietra sul Maremola c’è un ponticello romano. Anzi, c’era un ponticello romano. E’ stato distrutto nell’ultima guerra. E Teresina se lo ricorda bene il ponte romano e anche i bombardamenti. Tutto il quartiere chiamato Aietta, per via dell’arietta che scende giù dal Melonio, è stato distrutto. Le case tutte distrutte. Adesso, ad unire le due spallette del ponte, corre una passerella di cemento e sassi, nel mezzo c’è un’edicola con la madonna e Teresina, ogni sera, immancabilmente, come fosse un appuntamento irrinunciabile portava i fiori, salutava con una carezza la madonnina con il bambino Gesù e sedeva sulla panchina di pietra lì di fronte, a raccogliere i pensieri e pregare in silenzio, in simbiosi con le anatre, il fiume, le canne, il monte lì intorno, il tramonto rosso di nuvole e il vento, immancabile compagno dei suoi sogni.

“BIAGIA TI AMO!!!!”
Biagia correva veloce sulla bici. Il vestito stretto a vita, svolazzante sulle gambe dai polpacci forti, in movimento su e giù sui pedali. La bambina sul sellino di dietro. Biagia frenò di colpo “Non ci posso credere” disse passandosi una mano sui capelli arruffati dai riccioli e dal vento. “Ma quello è nescio, è scemo nella testa” Biagia ripartì con tanta rabbia che la bici adesso sembrava ad una gara di velocità.

“BIA NON SI PUO’ MANDARE AFFANCULO COSI’ UNA FAMIGLIA!”
Biagia a quel punto si fermò e scesa dalla bicicletta corse a cancellare quella scritta impudente, messa lì proprio in bella vista che meglio non si poteva fare. Biagia fregò con le mani, col fazzoletto che aveva in tasca, ma tutto inutile, la scritta più lei fregava, più risaltava sul bianco sporco del muro.

“BIAGIA TE QUIERO!”
Stava proprio lì, di fronte a “PANE E MARMALLATA” dove lei portava la bambina. “Stronzo maledetto. Ma questa me la paga” “Se lui fa così vuol dire che ci tiene a te” “Prima ci doveva pensare, prima. Adesso è troppo facile. Quello è nescio. Scemo nella testa. Mi perseguita. Per strada, per telefono. E adesso questa pagliacciata. Un pagliaccio è. Un pagliaccio. Non mi dà tregua, ma io lo denuncio. Lo denuncio io.”
Biagia aveva messo a letto i bambini. La giornata faticosa, pesante, e poi quelle scritte sui muri, per strada, da vergognarsi, pensava Biagia, da vergognarsi. Così adesso tutti sapevano. Stupido. Non poteva aspettarsi niente di buono, niente di meglio da uno come lui. Pensare che …. un giorno ….. Biagia aprì il diario, lo teneva sul comodino vicino al letto. Cercò le fotografie. Loro due sulla spiaggia, il matrimonio, i battesimi. Tutti quei volti felici, sorridenti, pieni di tante attese, e lesse:
“In questa sera di S. Lorenzo ci siamo promessi per sempre, mi sento come quella polvere di cometa che passa vicino al sole e si scioglie e si disperde.
Ho paura di questo amore”.
Biagia chiuse il diario. Spense la luce. Un raggio di luna sui capelli.


Soffia vento di tramontana. E’ una giornata di agosto. Verso la metà. Il sole a mille.Gli ormoni pure. Il mare una tavola. Teste come puntini neri spiccano sull’acqua limpida, trasparente. E soffia vento di tramontana.
La ragazza dai lunghi capelli stese l’asciugamano lungo la riva e si distese al sole, la pelle bruna tirata a lucido dall’olio solare. “Ciao, io sono Paco”. Lei si fece schermo con la mano per proteggersi dalla luce abbagliante del sole “Ho comprato ieri da te in negozio. Ricordi?” “E come no … ma ieri avevi i capelli gialli com’è che oggi sono blu? Che hai fatto?!” “ Ieri era il mio periodo giallo oggi è quello blu. Come Picasso.” “Si, ma lui ha avuto il periodo rosa e non giallo” Risero. Il ragazzo si sedette vicino. “Io sono Cinzia”. Chiuse gli occhi stesa al sole lui lanciò sassi nell’acqua.
“E adesso dove vai?” “A casa. Sono in pausa. Biagia mi aspetta e poi torno in negozio” “E chi è Biagia?” “Mia madre” “Oh!” “Che c’è da ridere? Non c’è proprio niente da ridere. Mi piace così. Biagia è buffo e mi piace così. E’ insolito”. Lui accennò una pacca proprio lì sul sedere “Ehi! Non ti allargare tanto. Non ti ho autorizzato, io” “Vengo con te se non ti spiace” “Come vuoi”.
Lontano qualcuno nuota nell’acqua, due stanno appiccicati come ventose, uno, tipo squaletto assalta la ragazza sul pattino, un altro una ragazza nell’acqua.
All’ombra di un grande cespuglio la voce di un nero. E’ un canto. Sale dal profondo dell’anima. Colora l’aria di viola. Di struggente nostalgia.
E’ una giornata di agosto. Verso la metà. Il sole a mille gli ormoni pure e soffia vento di tramontana.

Aveva perso tutto. La casa, la famiglia. Quando poteva Biagia l’aiutava. Insieme andavano al mercato a raccogliere cassette per farne legna da ardere.
Aggrappata al braccio di Biagia, Teresina contava i passi che la separavano dalla sua angusta abitazione, poi si salutavano sulla porta dello scantinato dove abitava.
Perché aveva perso tutto Teresina … tutto …. anche la vista.
Era diventata amica del vento e amava le storie che il vento le sussurrava.
Con gli occhi della mente si specchiava, vedeva attraverso i suoni e gli odori. “Che bella stoffa!” diceva appoggiandosi al braccio di Biagia.

Hai una cicatrice qui sulla fronte” “Già è un regalo del G8 di Genova” “Ma tu non sei qui di Pietra” “No, sono di Genova. Sono venuto a trovare un amico. Frequentiamo la stessa facoltà”. Per un po’ restarono in silenzio “Magari il tuo amico lo conosco” “Si chiama Pietro” “Anch’io ho un amico che si chiama Pietro. Chissà se è proprio lui? E i tuoi come l’hanno presa. Si, per quella cicatrice … voglio dire” “Mio padre è un poliziotto e quel maledetto giorno era in servizio. Ci siamo trovati a combattere su due fronti opposti. Padre e figlio.” Paco e Cinzia si guardarono con occhi tristi e un debole sorriso. “Da quel giorno mio padre non parla quasi più. Solo l’indispensabile. Mia madre non sa più cosa dire. Prega tutti i giorni. C’è anche che mio padre da quel giorno non mi dice più di arruolarmi nella polizia. Almeno quello!”.
“Io sono arrivata” “Ci vediamo. Salutami Biagia”. Risero “Ciao”

Il vento scappò dalla carezza di Teresina scivolandole tra le dita. Per alcuni giorni non si fece sentire.
Teresina pensava alla bambina seduta in fondo al mare. Anche a lei piacerebbe andare a sedere in fondo al mare e raccogliere conchiglie come quella bambina che le aveva raccontato il vento. E ci va Teresina a sedere in fondo al mare e raccoglie conchiglie e costruisce castelli, prima piccoli, poi sempre più alti fino a toccare il cielo e poi siede sullo spicchio di luna che la culla dondolando dolcemente.
E dimentica il presente.

*… stesso elettrico lampo sud
segue questo treno
apocalisse profetizzata
la caduta dell’America
segnalata dal cielo ….
Lei è lì che legge Ginsberg, una “foresta” (così quelli del posto chiamano quelli venuti da fuori), lo struscio dell’onda l’attrate-distrae, lo specchio del sole affonda nell’acqua, rimbalza e riaffonda nel gioco continuo dell’onda. “che cosa racconti a Mustafà?” Mustafà le mostra una borsa, il sole appare-scompare nel cielo gonfio di nuvole. Magari con Mustafà vorrebbe anche parlare. Lui è vispo negli occhi, nell’abbagliante sorriso. E’ accattivante col viso di un nero e gli occhi da bambino. “Parti?” le dice, ha visto il biglietto del treno che usa come segnalibro, negli interspazi sono annotati appunti per una poesia: “un nero lenzuolo/ come quercia una donna/ alta sulla linea d’orizzonte./ Un fulmine alle radici.” (Kosovo 99).
“Buon viaggio!” Mustafà la saluta e si allontana. Straniero nel passo.
Lei ritorna a Ginsberg.

Piove, piove tanto, a dirotto e Biagia vuole andare al cinema.
A Pietra d’estate c’è il cinema all’aperto. Cinema Giardino. “IN CASO DI PIOGGIA POSTI AL COPERTO”. E ci andò Biagia al cinema quella sera di pioggia. Con suo marito. Abbracciati. Abbracciati e innamorati. Biagia col pancione da luna piena. Niente di più romantico. “Balla coi lupi”. Era stata lei ad insistere nonostante la pioggia. Il film lunghissimo. Faceva freddo. Un freddo che entrava nelle ossa. E a Biagia batteva forte il cuore stretta al suo uomo, e sullo schermo Kewin Costner, dietro una cortina battente di pioggia.
A Biagia piaceva andare al cinema d’estate, all’aperto, sotto le stelle; ma quella sera di pioggia da non dimenticare. “Senti” diceva “Si muove” ed era la prima volta. Un fruscio strano. E lui appoggiava la mano e il fruscio spariva. Del film ricordava poco Biagia, ma quella sera l’aveva stampata nel cuore.

“E’ molto tempo che non vedo mio padre ……. ero ancora una bambina l’ultima volta che l’ho visto”.
Cinzia e Paco stanno seduti sullo scoglio. In disparte. Pietro con la chitarra e tutti gli altri in cerchio, lì vicino. E cantano. Una luna così.
“Da quando si sono lasciati con Biagia, mio padre se ne è andato. Ha venduto tutto ciò che aveva ed è andato a vivere in Germania. Mi manca tanto, mi manca. Anche a Biagia manca. Credo. Mio padre aveva una giostra. Quella che c’è lì all’inizio della passeggiata. Proprio quella. Coi cavalli, la carrozza, il camion dei pompieri e tutto quanto. E lui mi faceva sempre andare sulla giostra. L’aveva ereditata da suo padre, mio nonno e l’ha venduta. Adesso gira in camion e vive in Germania”.

Il vento ritornò a scompigliarle i capelli. Teresina sciolse la crocchia e li lasciò liberi di volare, come quando bambina correva lungo il torrente, coi capelli sciolti che saltavano sulle spalle e le violacciocche che ornavano le orecchie. Ce ne sono tante sulla riva del Maremola. Violacciocche bianche attorcigliate ai folti canneti. Sì perché il Maremola è un torrente la cui sorgente si trova a Isorella, qualche chilometro più a monte.
Com’era bello allora. Era bello correre, saltare, osservare le anatre col sedere in aria e la testa affondata nell’acqua. Gli anatroccoli in fila ordinata dietro mamma anatra, il cigno così bello e regale nell’acqua e così goffo sulla terra, (così è la natura, tenera, innocente, senza sofisticazioni). Sentire il profumo del mare, come adesso. Il vento glielo portava. Se lo sentiva sulla pelle, penetrare dentro. Ce lo aveva dentro il profumo del mare.
Il mare! Quali sorprese a volte sa donare.
Come quella volta. Una mattina di fine settembre. Il sole splendente, settembrino. L’aria dolce,mite. Il cielo azzurro pastello si confondeva all’azzurro pastello del mare. Tutto era limpido, trasparente. Irreale. E arrivarono come arriva un sogno, senza preavviso. Imprevisto. Scivolavano eleganti e leggiadri sulla superficie trasparente dell’acqua. Legati gli uni agli altri da un sottile filo invisibile. Erano in cinque e magnifici in tanta magnificenza. Cinque magnifici cigni.
Teresina li inseguì correndo lungo la riva.
A volte si avvicinavano quasi a voler farsi toccare poi si allontanavano formando un cerchio, un gruppo, una strana coreografia dettata da un loro intimo linguaggio. Senza perdere mai il contatto gli uni con gli altri. Una simbiosi perfetta.
Quando arrivarono alla foce risalirono il torrente. Seguendo un misterioso rituale, il cigno solitario, principe indiscusso del torrente si unì a loro e li seguì fuori dal corso d’acqua, nel mare.
Teresina li seguì con stupore finché poté e una grande malinconia s’impossessò del suo animo. Allora capì di aver assistito ad un evento straordinario.
L’armonia di quegli esseri misteriosi le lasciò un segno incorruttibile.

.... Chessmann, Vietnam, Sirhan.
Il 52% della gente pensava che la guerra
era sempre stata un errore,
verso l’aprile 1969 …..
Il profumo del mare nella pietra scavato. Come profughi in attesa, sulla riva, varia umanità e pensieri. Lei, la foresta, guarda quel pezzo di mondo come se fosse tutto il mondo. Nero lenzuolo il mare in tumulto. L’arco dell’orizzonte confonde le cose, la terra. Un boato supersonico rompe il silenzio azzurro. Pesci spaventati vomitano il mare, gabbiani arruffano il cielo. Anche un cane abbaia lì vicino, scatta e corre lungo la spiaggia, un uomo raccoglie un sasso e lo lancia nell’acqua, il cane si tuffa felice, l’uomo lancia un altro sasso ancora più lontano, il cane lo rincorre, il sasso affonda. L’uomo lancia ancora un sasso e un altro ancora ma il gioco è fasullo e il cane si è accorto del sasso che affonda, ritorna a riva, esce dall’acqua si sgronda, le gocciole d’acqua brillano come tanti minuscoli arcobaleni. L’animale è contento, un bimbo attenta alla sua coda, interviene la mamma che lo afferra per mano e lo allontana. Il cane si sdraia sul dorso, le zampe aperte per farsi grattare la pancia, un altro bambino punta il dito e ride, sta scavando una buca, la riempie di acqua, l’acqua scompare, succhiata dalla sabbia.

“Oh! la REX”
La giovane donna era messa come una turista d’assalto, lui un play boy da sballo. Abbronzatissimi. “No, guarda che si tratta di un cargo liberiano!” “Con tutte quelle luci un cargo?”
La nave scivolava lenta, sulla linea dell’orizzonte e la musica dell’orchestra sulla spiaggia lì sotto allietava la serata con belle canzoni. Anni sessanta.
“UNA ROTONDA SUL MAREEE ….”
Scesero sulla spiaggia a ballare sotto la luna. Piena. Una palla tonda nel cielo. Una striscia luminosa nel mare.
“E’ la REX, ti dico! Anche oggi l’ho vista. Una linea bianca all’orizzonte. Una trina leggiadra”.
La nave, sembrava, lentamente si stesse avvicinando.
E loro ballavano “IL NOSTRO DISCO CHE SUONAA ….” languidamente allacciati. “Guarda si è fermata!”.
Si bloccarono. Gli occhi fissi, stupiti. Sfavillanti, come le luci della nave ferma in mezzo al mare. Nel mare.
“Si è proprio fermata!”
“Ci aspetta!”
“Su dai non facciamola aspettare!”
“ Andiamo.”
Andarono e danzarono. I flauti del mare schiusero le onde dal serico respiro. Profondo.
Svanì la nave col suo carico di sogni. Si perse nella notte: la notte dell’oblio.
“VEDO GLI AMICI BALLAARE. MA TU NON SEI QUI’ CON ME ….”

Ho vissuto un giorno nella terra di nessuno
Ho abbattuto gli argini della malinconia
Ti camminavo a fianco nel vuoto assoluto
Io sono il ghiaccio e la neve la terra il fuoco la sabbia
In questo mare inondato di rabbia”
“Ehi Paco Cinzia venite a sentire la nuova canzone! Così tra un arpeggio e l’altro è venuta fuori. Sarà per la luna, sarà per Sara che tutta nuda balla baciata dai raggi argentei in questa notte che mi sembra una magia e voi due che ve ne state lì in disparte”.
“Dai facci sentire” “E’ bellissima” “Senti diventerà il pezzo forte del nostro concerto” “Ma no c’è di meglio” “Guarda che con la modestia non si va da nessuna parte” “Io propongo che il titolo di questa canzone diventi il nome del nostro gruppo che ne dite” “Mi sembrate tutti un po’ matti” ….. “Beh però se insistete visto che il pezzo vi piace tanto l’idea è buona” Pietro era tutto contento. Ci teneva tanto a formare il gruppo “Siamo il primo ed unico gruppo musicale della zona dobbiamo ancora lavorare molto per mettere su tutto un concerto” “Secondo me siamo già a buon punto” “La questione è che dobbiamo ancora trovare l’affiatamento” “Le prove servono proprio per questo” “Dai ce la faremo” “Che ne dite se festeggiassimo con un bel bagno notturno?”
Sara si lanciò per prima in acqua “Su venite è un po’ fredda ma è bellissimo”.
Ad uno ad uno si convinsero e tolti i vestiti, così nudi, si immersero nell’acqua fredda che ancora non era stagione. La notte echeggiò dei loro canti e schiamazzi e il mare ancora gelido li accompagnò col gorgoglio delle onde.
A Pietra tutto si svolge in piazza “A Ciassa San Nicolò” Piazza San Nicolò. In quel gran palcoscenico che è la piazza principale di Pietra.
Il mercato del sabato mattina, il mercatino dei contadini, tre pomeriggi alla settimana, i concerti nelle sere d’estate, i saltimbanchi, il teatro dei burattini, la sfilata di moda, l’elezione della MISS e la processione del santo patrono e della madonna. Sacro e profano mescolati assieme. Tutto sotto la benevola benedizione di San Nicolò, il patrono, appunto.

…. Un milione di cadaveri in corsa
attraverso la 42esima strada
Edifici di vetro che sorgono più alti
trasparenti
alluminio ……
In questa mattina di Pasqua la spiaggia è un brulichio di persone. Punti colorati, indefiniti come un quadro fauve. Un tronco d’albero, spellato come i tronchi di Penone, inspiegabile presenza, troneggia, i rami tesi verso il mare.
Una donna grassa è seduta sul tronco, altri hanno appeso i vestiti sui rami, una coppia abbracciata è in vena di effusioni, delle sacche sono confusamente appoggiate. L’albero è straordinariamente integrato.
Una folata d’aria fredda smorza il caldo del sole, alle spalle le montagne sono ancora innevate, si respira un’atmosfera di calma ….. e …. di attese ….. tutto è sospeso.
Una signora ieri in treno leggendo il giornale ha tratto un profondo sospiro, intanto lei, la foresta, pensa forse con torto, che a Mustafà interessa unicamente il commercio di borse.
E’ mezzogiorno, qualcuno la chiama, chiude il libro di Ginsberg e assorta si avvia.

Esce di casa di buona mattina. La voce un po’ chioccia, saluta Sophia, chiunque lei incontri. Infila il caschetto sulla testa già grigia. Le chiappe robuste ben salde sul motorino.
Ha figli e nipoti Sophia. Una in Germania un’altra le vive vicino. Il figlio più grande che gira per casa ha un figlio piccino che vive lontano: capelli spioventi, lunghi e biondicci, il naso aquilino, la voce profonda da lupo di mare. E’ stato campione italiano di Surf e anche d’inverno, indossata la muta, cavalca le onde quando il mare è un po’ grosso. Gestisce una spiaggia, ed è l’unica che anche fuori stagione, offre le sdraio alle mamme e giochi ai bambini.
Ama i fiori e le piante, Sophia, e quando è il tramonto, con la pompa li bagna, pota la siepe e carica i sacchi sul furgoncino.
Va in bici, Sophia. Di dietro il canestro e la spesa, sul sellino davanti il nipotino dagli occhi di mare e i capelli di sole.
E’ dura, Sophia. Son fatte così le donne in Liguria, abituate da sempre a gestirsi da sole, gli uomini in mare.
E’ bigama Sophia.
Chi lo direbbe a vederla e sentirla, la voce un po’ chioccia. il corpo robusto, i capelli già grigi, che lustra la casa, bada a figli e nipoti, la madre già vecchia e i mariti.
E’ forte, Sophia.
La sera un po’ stanca carezza le foto dei due mariti già morti. Cambia l’acqua dei fiori e accende i lumini. Un lumino ciascuno. Per non fare torti a nessuno.
Ma lì in Liguria nessuno ci bada. Mogli, amanti, mariti, figli, abituati da sempre gli uomini in mare.

E’ mercoledì pomeriggio giorno di mercato dei contadini. Come consuetudine i banchi contornano la piazza protetti dall’ombra degli alberi frondosi. Oltre alla frutta e agli ortaggi i contadini offrono l’olio ed il miele di loro produzione.
Il caldo di luglio si fa sentire, anche se di tanto in tanto un refolo di venticello porta un po’ di sollievo. La piazza è stranamente gremita di persone, chi fa la spesa, chi mangia il gelato seduto sulle panchine lì intorno, chi seduto ai tavolini dei caffè si rinfresca con qualche bibita (che per l’aperitivo è ancora presto), bambini che giocano saltando le righe della pavimentazione, altri corrono sulle biciclette. Insomma c’è una grande animazione e ciascuno è intento nella propria occupazione, anche i colombi, sempre alla ricerca di un po’ di cibo da beccare, indifferenti si fanno gli affari loro. Tutto come da copione di sempre.
Così appare a prima vista.
Ma osservando con più attenzione ci si accorge che c’è dell’eccitazione nell’aria, come se dovesse accadere qualcosa d’insolito anche se tutti fanno finta di niente.
La piazza è un gran palcoscenico e lì c’è una recita …..


“il mare e’ umido”
“no, e’ bagnato”
“no, volevo dire, e’ umido il mare!”
Lui carino – Lei in crisi
Lui odorava di sole e di mare e portava il codino – Lei pallida, lunare
Lui tutto firmato, orecchino, e un brillantino incastonato sul canino – Lei … un po’ trascurata …..
Lui era un tipo – Lei si nascondeva dentro un libro.
Lui elastico e atletico con la tavola cavalcava le onde – Lei avvertiva che lui la osservava. Interessato.
Lui la riconobbe nella sua solitudine – Lei ….. ricordò ...... quella sera d’estate, al piano bar. Il pianista che suonava. E lui. Con una donna.
Belli, lucenti, griffati e amanti. Innamorati.
Lei lo riconobbe nella sensualità, e adesso, lui …. lì …. sulla spiaggia che cavalcava le onde …. solo. Bello …. e …. una tentazione.
Lei tinse i capelli, dipinse le labbra, vestì di rosso e si distese al sole – Lui cavalcava felice con la tavola le onde.
Si ritrovarono in quell’angolo di piano bar, il pianista che suonava le canzoni di sempre. Belli, lucenti, griffati, amanti, innamorati.
Così le sere d’estate.

“Signora …. Lei …. Si lei con quel naso per aria si tolga di lì per favore non vede che sta atterrando l’astronave?” La signora, l’astronave non la vedeva proprio e continuava a guardare in su, col naso per aria, tranquilla verso il campanile. “Signora si tolga di lì. Faccia qualcosa, fugga. Non vede che gli altri fuggono terrorizzati? Faccia così anche lei.”
L’astronave planò giù dal campanile, la folla fuggì terrorizzata.
“Bene, ma siete proprio bravi” tuonava nel megafono il regista o l’aiuto regista o chi per esso “Ad ogni modo ripetiamo la scena. Rimettetevi come prima. Come se foste lì per caso. Così. Lei signora” “Dice a me?” “Sì, lei. Quando vede scendere l’astronave….Cioè, quando io do il segnale, deve scappare, più spaventata”.
In piazza si sta girando la scena di un film di fantascienza e la partecipazione è entusiasta. Promotori del film un gruppo Rock ligure. Un’occasione da non perdere. E poter così raccontare agli amici ritornati in città “Sai, quest’estate a Pietra ho partecipato ad un film. E’ stato grandioso. Un film di fantascienza, l’astronave che atterrava in piazza, davanti alla chiesa mentre c’era il mercato e….. sai il mio nome risulterà tra i titoli!

Le luci sul palco sono spente, gli strumenti musicali in malinconica solitudine. Canzoni Rock in sottofondo. Gente che va, gente che viene. Chi mangia il gelato, chi sposta pazientemente il peso del proprio corpo ora su di un piede ora sull’altro, i più fortunati occupano le sedie disposte in fila ordinata nel mezzo della piazza, altri siedono sulle panchine e altri ancora sui bordi delle grandi fioriere.
Siamo in piazza Rosselli, un tempo conosciuta anche come piazza del 2000 per via del grande magazzino sotto i portici che ora non c’è più. E tutto è in attesa.

Camminava lungo la riva del mare nell’acqua che andava e tornava, la crocchia disciolta. Gli occhi spenti ripiegati nella malinconia. Una malinconia d’autunno.
Il mare piatto. Intorno, un grigio ovattato. Alto il grido dei gabbiani.
Dalla sabbia, improvviso, s’alzò un refolo di vento. Portò un canto di sirene e tutto si colorò d’azzurro. Di un azzurro trasparente. Luminoso. Uno spettacolo meraviglioso s’aprì agli occhi ciechi di Teresina.
In quel palcoscenico naturale comparvero loro, i cinque magnifici, i cinque magnifici cigni. Con loro il principe del torrente.
Le guance accese, gli occhi scintillanti di luce, Teresina li seguì, come quel mattino di settembre, quando era bambina. Allora i magnifici cinque guidati dal principe del torrente, come candidi angeli la presero per le vesti e la portarono con loro nel mare azzurro. Trasparente.
“Addio Teresina” sussurrò il vento. “Addio”.

Il concerto è incominciato.
Uno spazio apposta per le Band locali. Tre o quattro Band per serata. I ragazzi sono contenti. Una bella opportunità per farsi conoscere.
Cinzia saluta il pubblico e anche Biagia. E’ commossa ed emozionata.
“Siamo un gruppo di ragazzi tutti di Pietra, tranne uno, Paco, il nostro fantastico batterista che è di Genova, ma ormai pietrese di adozione. Si può dire che qui si è trasferito. Un bell’applauso per lui e per tutti noi. GRAZIE!!!”
La musica parte. Inonda la piazza e anche i carugi d’intorno. Ora è dolce, ora è aspra, ora è lenta come un Soul, ora è dura e forte come il Rock. E Cinzia canta. La sua voce si dispiega come la musica. E’ fatta. La folla applaude. E Cinzia è felice. Almeno stasera è felice.

“Andate fratelli, andate in pace”.
I portali della chiesa di San Nicolò erano spalancati. L’altoparlante diffondeva l’omelia del vescovo in tutta la piazza gremita di folla. I crocefissi alti ornati d’argento, pesantissimi, portati dai penitenti. La banda che suonava solenne le ultime note. Le figlie di Maria in coro con le laudi. Banchetti di gadget con collanine luminose e palloncini. Banchetti di torrone e zucchero filato.
Tutto spalancato sulla piazza.
Biagia si era fatta largo a fatica tra la folla per entrare in chiesa. Raggiunta l’edicola di San Nicolò accese una candela, s’inginocchiò, le mani congiunte in preghiera. Poi si avviò all’uscita. La chiesa illuminata, le candele accese, la folla di fedeli e di curiosi, tutto sembrava irreale agli occhi di Biagia.
“Ma sei proprio tu! Come sei bella con quel vestito” “E’ il vestito del mio compleanno” “Ah! E’ il tuo compleanno?” “No, il vestito è del giorno del mio compleanno” “Dio Biagia incontrarti qui. Dopo tanto. Tutti questi anni. Mi sembra un sogno” Biagia sorrise “Lui le stava porgendo l’acqua benedetta. “Chi ti ha portato qui, adesso?” Biagia chiese …. più a sé stessa.
Si avviarono come se nulla fosse successo, annullando anni di assenza. Lei e suo marito arrivato dalla Germania non si sa come.
Presero il gelato guardarono i fuochi. Vicini e lontani. Guardinghi e contenti.
La folla seguiva il rituale di sempre. Come un lungo serpente si avviava rumorosa verso casa. La festa era finita.
Si ritrovarono soli a camminare sulla spiaggia. Il fruscio delle onde riempiva di calore la notte d’estate. “ Oh! Guarda la REX . La nave dei sogni”.
“Biagia ti amo” “Ti amo anch’io.”

La guerra di Bosnia è finita ma ci sono tante altre guerre mai cominciate e mai finite. Ai potenti interessa il commercio delle armi e il petrolio.
Mustafà non va più in giro col carico di borse. Si è organizzato. Adesso ha un campionario con tanto di fotografie e un vasto assortimento di merci caricate s’un furgone. Gli affari vanno bene e lui non fa più tanta fatica. E’ contento Mustafà e ha messo su famiglia.
Ma un giorno, forse una spiata, lo ferma la polizia. Gli sequestra la merce, il furgone e gli fa un foglio di via. Se ne va Mustafà, con la sua famiglia. Un sogno infranto e tanto amaro in bocca. Ma Mustafà non rinuncia e giura a sé stesso che tornerà lui la moglie e i figli che qui sono nati. Loro non sono non saranno né di qui né di là.
E riprende il cammino, la storia.

“Ciao, sono tornato. Non avere paura. Non mi riconosci? Eravamo amici ricordi? E’ vero hai ragione è passato un anno, ma io ho scritto una poesia per te. Se mi ascolti adesso te la leggo”
A Pietra, su al Trabocchetto, una collinetta che la divide in due c’è un parco botanico con tanto di alberi, vasca con i pesci rossi, le tartarughe con gli occhiali e in una grande gabbia che funge da recinto una vecchia volpe triste e malandata.
Il poeta declamò la sua poesia mentre la volpe indifferente rimaneva rincantucciata nella sua tana. Una buca dalla quale fuoriusciva il suo musetto arguto e gli occhietti tristi.
“Su, dai, non avercela con me!” supplicava il poeta.
La volpe doveva averla portata lì Giada l’amica degli animali. E’ lei che se ne occupa portando loro il cibo e curando le loro ferite. Come quel gabbiano reale che aveva l’ala spezzata. E adesso che è guarito se n’è volato via.
“E il gatto dov’è finito?” continuò il poeta. La volpe sempre triste.
“Ah, ho capito! Ecco perché l’anno scorso facevi tutti quei salti fino al tetto della grande gabbia. Era per liberarti di lui”.
Il gatto, che aveva dato tanto fastidio alla volpe, se ne stava tutto il giorno e anche la notte accovacciato sul tetto.
“Non dava nessun disturbo, perché l’hai scacciato?”
La volpe sempre indifferente.
D’un tratto scappò dentro la casetta di legno, dove si rifugia la notte, infastidita da un gruppo di persone chiassose, ma, come queste si furono allontanate, ritornò a infilarsi nella buca.
Allora il poeta capì che la volpe, con astuzia tutta femminile, fingeva indifferenza e tutto contento, tornò tutti i giorni a trovarla, per raccontarle i fatti della vita come ad una vecchia amica.

A Finale c’è un castello. Il castello Govone. Ora diroccato, ma i finalesi di buona volontà lo stanno riportando a nuova vita. Organizzano visite guidate notturne con tanto di spettacolo che riprende le vicende dell’epoca, ed è tutto volontariato. C’è anche una fortezza. E da lì partiva la via del sale e su quella via passò l’Infanta che andava sposa al Borbone.

Anche a Pietra c’è un castello. Ben conservato con la torretta e tutto. Adesso c’è un ristorante ed una discoteca. Da lì, spiace dirlo, passa anche la droga.
Nella casa di una nobile famiglia vi ha soggiornato anche Napoleone e nel 1795, in seguito alla battaglia navale tra inglesi e francesi, vi sbarcò l’ammiraglio Nelson, allora capitano, mentre Garibaldi, più modestamente, ha soggiornato in una umile casetta in riva al Maremola.

Due possenti gru affondano nel cielo. Sono le gru del cantiere navale attivo dal 1916 che ha subito periodi di prosperità a periodi di crisi. Adesso è gestito da una società di fuori. L’ultimo varo di una nave è stato negli anni ’80.
Sono stati allestiti, all’interno del cantiere, anche due spettacoli di Pippo Del Bono.
“La rabbia” un omaggio a Pasolini, e “Itaca” poesia di Kavafis. Gridando dentro un megafono i versi della poesia, Del Bono ha condotto la folla di spettatori, attraverso i vari capannoni della struttura industriale, trasformata magicamente (con la bacchetta di Sim Salabim) in uno scenario fantastico, accompagnato da angeli mongoloidi, trans appesi a cavi semoventi e come usciti dalla pancia della balena, un popolo di personaggi assurdi e grotteschi, svelati come in un sogno da un sipario in acciaio, cui fungeva da fondale lo scheletro dello scafo di una grande nave e, sempre guidati dai versi gridati di Kavafis, gli spettatori-viaggiatori, come bambini stupiti, si sono ritrovati in una grande sala, dove una flotta di barchette tutte di carta, emblematicamente indicavano la via dell’avventura, del sogno, per approdare, infine, nel luogo del varo delle navi, dove salpare verso l’ignoto, sotto una luna splendente, il mormorio della risacca accompagnata dalla voce di una viola da gamba, mentre un piccolo uomo sordomuto, Bobò, ha tratto dal profondo del suo silenzio, con piccoli gesti, la magia della sua poesia.

Finale è stata una repubblica marinara che si contrapponeva al dominio di Genova.
I Del Carretto furono i signori del Finale, come dicono i finalesi e anche se Finale oggi può contare su un porticciolo per barche da diporto ….
a Pietra, il mare, è molto, ma molto più mare!.

Questo mare così grande
Questo mare così profondo
Questo mare così vero
Questo mare così nostro
Così vivo tenero grande
e immenso
Questo mare così libero
come il volo di un gabbiano
Questo mare così forte
Questo mare così nostro
Questo mare - il nostro mare

S.C.

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